Pasquale e la Stregoneria
<<Pasquale! Dormiglione, svegliati!>>
Pigramente, Pasquale si stende e si stropiccia gli occhi intorbidati da un sonno notturno profondo. E’ un nuovo giorno. Oggi fa fresco. Stanotte tutta l’umidità dell’aria si è fatta sentire nella cervicale e nelle ossa del nostro giovanotto. <<Brr… oggi ci si deve vestire stile invernale e pensare che ieri è stata una bella e calda giornata.>>
<<Pasquale, il tempo e le stagioni non sono più quelle di una volta. Il caldo e il freddo sono, ormai, imprevedibili. Alla mia età i reumatismi mi fanno capire tante cose…>>, dice la signora Giuseppina, impegnata al fornello della cucina per preparare il caffè del mattino.
<<Mamma, cosa ti raccontano i reumatismi?>>
<<Intendevo che bisogna coprirsi bene prima di uscire di casa. L’acqua nell’aria si sente a fior di pelle. Essa penetra nelle ossa… e poi ti vai lamentando.>>
<<Eh, così impari ad andare in giro di notte semivestito! Vuoi un cornetto col caffelatte caldo?>>
<<Mamma, prima di fare colazione porto Amilcare giù a fare la pipì…>>
<<Va bene. Prendi il sacchetto e la paletta. Non lasciare i bisognini di Amilcare in giro. Non sta bene. E, fai presto!>>
Amilcare è il cagnolino di famiglia, un volpino di pelo bianco, ricoperto qua e là di chiazze color nocciola, che gli colorano anche le orecchie, sempre mobili e all’erta; è un animale domestico molto astuto e intelligente, tanto che intuisce le intenzioni delle persone solo guardandole in faccia e negli occhi. A volte, quando ti fissa con i suoi vispi occhi neri, sembra, lì per lì, di dirti qualcosa. Comunica con i suoi occhi, le orecchie che si muovono, si abbassano, la coda che si alza, si abbassa, scodinzola e salta per affermare la sua natura di animale fedele e amico dell’uomo. Veramente, gli manca solo la parola.
Il cane porta Pasquale nella piazza dove si incontrano a mo di torri di una fortezza medievale i bracci e le scale delle palazzine che costituiscono il suo condominio. Da lì, Pasquale scorge il campanile austero della Chiesa di S. Agnese e tutte le altre chiese che circondano l’abitazione e un po’ tutta la valle.
Si narra che, molti anni addietro, sotto quella piazza, ci fosse una botola segreta di un palazzo nobiliare tipo reggia, forse un piccolo castello, di proprietà di alcuni signorotti del paese. Questi signorotti governavano il paese e tutti i contadini che, in ricorrenza delle festività del mese e quindi dell’anno, facevano loro visita con doni dei loro raccolti e dei loro manufatti. Se i doni, che venivano depositati in mezzo alla piazza, non erano ben accetti e di gradimento, i signorotti comandavano l’apertura della botola, la quale risucchiava in modo infernale tutta la merce e gli stessi malcapitati contadini, che erano rimasti in mezzo alla piazza ad attendere il verdetto dei nobili. Intorno a questa casa baronale, che fu, poi, battezzata come “Casa dei Diavoli”, girano dicerie e leggende misteriose di spiriti di morti dannati, che tutti gli anziani del paese conoscono e si tramandano di padre in figlio. Amilcare sembra percepire delle presenze oscure facendo dei rapidi cenni col capo e con le orecchie marroncine a Pasquale e scavando testardo a quattro zampe nella fanghiglia delle radici di un pino secolare, posto sulla piazzola adibita ora ad area di parcheggio delle auto in sosta dei signori condomini. Il pino, sotto la fine ed evanescente pioggia autunnale, emana un odore di terra e di muffa antico, lontano, che si perde nella notte dei tempi. E’ una notte buia e tetra, illuminata tenuemente dalla luna piena e dal fuoco delle erbe e degli sterpi secchi, intorno a cui girano e danzano le streghe, mentre i cani e i lupi intonano canti lugubri e strazianti sulle pendici dei colli della valle. Un fiume scorre pacatamente alle pendici dei monti; lo specchio d’acqua sorgiva riflette le luci e le ombre della luna piena e dei fuochi accesi dalle streghe. Solo quel fiume, che un tempo è stato un grande corso d’acqua pescoso e ricco di florida vegetazione intorno, in cui molti esseri viventi hanno trovato rimedio alla sete e alla sozzura, conosce veramente cosa si cela dietro i misteri della valle e delle fattucchiere. Pasquale immagina proprio quelle vecchie megere del paese, che, altro non sono, che nipoti e discendenti di quei morti dannati, che sono rimasti sulla Terra come spiriti malefici a fare scorribande nelle lunghe notti della Valle dell’Irno.
<<Pasquale, sali per la colazione!>>, urla la madre dal balcone, che si affaccia proprio sulla piazzetta.
Salendo stancamente per le scale, Pasquale incontra la vedova Buttifona, pallida, col suo merletto nero e con gli occhi scuri intorno, consumati dal dolore. Pasquale sente i brividi che lo attraversano dalle viscere e passano per il corpo; ha paura perfino di salutarla.
<<Buon Giorno…>>
<<Buon Giorno!!!>>
Pasquale ha la voglia di fare il simbolo delle corna con la mano mancina dietro alle spalle, piegando, nel pollice, sul palmo della mano, il medio e l’anulare e stendendo con forza l’indice e il mignolo, e ha voglia di cacciare anche la lingua a quella brutta strega. E pensare che, prima dello sconvolgimento del suo credo, questi gesti di “paesano” non li avrebbe manco sognati di farli. Un rapido richiamo di memoria ai film comici di Toto’ e alla stessa mimica facciale dell’attore gli rimette il buon umore ed entra trionfale in casa Del Paese. <<Mamma, oggi a pranzo vediamo un film di Toto’. Noleggio il dvd.>>
<<Prendi “I Re di Roma”. Sono circa trenta anni che non lo vedo…!>>
<<Hai visto “I due orfanelli”? E’ uno dei film del dopoguerra in cui Toto’ è molto giovane, più snello… Ok, se vuoi così, prendo “I Re di Roma”. Con Toto’, come protagonista, qualsiasi film è divertente!>>
Pasquale non aveva mai fatto uso di pratiche magiche, né si è munito in passato di amuleti, santini, crocefissi, corni e quanto di sacro e di profano esista per catalizzare e fissare saldamente su di sé la buona sorte e il buon augurio. E’ stato sempre scettico di quanti raccontano esperienze paranormali e fatti misteriosi, che il suo occhio indagatore non può spiegarsi in base al raziocinio, che vuole associare ad ogni effetto la causa del fenomeno. Ma, negli ultimi anni, la promiscuità sempre più stretta con la famiglia Buttifona e gli altri vicini del paese ha prodotto uno sconvolgimento decisivo nella sua vita e nelle sue credenze.
Dal balcone di casa, può scorgere i campanili di quattro Chiese che, a loro volta, formano un quadrilatero intorno alla sua abitazione e su tutta la valle in genere. Il campanile più alto è quello della Chiesa della Madonna delle Grazie, costruita proprio su una strana collinetta da cui domina superba un po’ tutta la valle. I paesani, che vivono in piccoli fabbricati di mattoni alle pendici della collinetta, sono molto devoti alla Madonna, alla quale dedicano le feste dell’anno e le processioni per il paese.
La cara nonna scomparsa gli raccontava che proprio a ridosso della Chiesa protetta dalla Madonna, in un pino smisurato, di diversi secoli di vita, scoprirono un grosso animale mostruoso che si annidava in esso. Gli operai, che lavoravano alla costruzione della nuova autostrada Salerno-Reggio Calabria nell’immediato dopoguerra, raccontavano di aver ammazzato con l’escavatore un serpente di color verde oliva, lungo venti metri e largo mezzo, con la testa grande, da cui spuntavano due corna tozze e bianche come l’avorio. Il mostro aveva due viscidi occhi prominenti, di un colore giallo ocra fluorescente, distribuiti subito sopra a uno scuro naso corto, le cui narici, un tempo sbuffanti, erano incavate profondamente. Dalla bocca conica fuoriuscivano due denti curvati e appuntiti, in mezzo a cui sbucava una lingua rossiccia bifida. Dopo averlo squartato, gli trovarono all’interno del suo lungo stomaco pesante il corpo di un bambino, che si sapeva scomparso nel paese, dopo una notte di temporale, durante la quale era rimasto da solo a casa. Si pensava avesse quattro secoli di vita e che avrebbe continuato a vivere imperterrito, se non fosse stato scovato per puro caso dagli operai in quel pino anch’esso secolare, in cui la creatura orribile aveva trovato segreta e sicura dimora. Fra i paesani si narrava che era la reincarnazione dello spirito del brigante Mammone, che, in vita, durante la dominazione spagnola del XVI secolo, scappato di prigione ancora con le catene addosso, rapiva i pargoli delle donnacce e se li portava con sé nei fitti boschi dei monti alti che circondano la valle. Egli si nutriva con gli spaghetti di grano duro rubati e conditi del sangue delle sue giovani vittime, cui mozzava ferocemente il capo a colpi di morsi. Dopo la sua morte, per secoli il suo spirito perfido vagabondava di notte alla ricerca dei bambini delle donne peccatrici del paese, le quali dovevano pentirsi dei loro peccati e non uscire di notte se non volevano essere vittime della maledizione del brigante Mammone.
L’autostrada, che fu, poi, costruita e che passa ancora per l‘antica dimora dello spirito del brigante Mammone, è stata quella che ha avuto per anni la maglia nera delle infrastrutture italiane: la più disastrata, la più costosa per le casse dello Stato e per gli stessi contribuenti, ma anche quella che ha mietuto più vittime mortali fra i conducenti coinvolti in incidenti stradali rocamboleschi e che fanno accapponare la pelle. Se un automobilista, che attraversa la tratta maledetta, compie un viaggio sicuro sulla stessa, immancabilmente, secondo le statistiche, si andrà a schiantare contro un camion carico di carburante su qualche altro raccordo.
Le ditte appaltatrici degli interminabili lavori di manutenzione e di costruzione ingaggiavano, poi, gli operai più disposti a lavorare stancamente e senza voglia, come se dovessero temporeggiare, perché si attendevano ancora altri soldi da spendere del fondo statale per le infrastrutture italiane. E la maledizione del brigante Mammone continuava e si rinnovava negli anni seguenti…
TRATTO DAL II capitolo del LIBRO “La gioventù di un predestinato”…