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BENINCASA

Lo Sport nell’Antichità

Gli antichi romani derivarono la cultura, gli usi e costumi dai cugini greci. Sintetizzarono il tutto nella lingua e nella pratica latina. Anche i giochi (ludus) del tempo libero furono ripresi dall’attività ellenica nel mezzogiorno (Magna Grecia, dal IX sec. A.C. in poi). Però, i romani consideravano l’uomo come vir, uomo d’azione appunto, che non doveva filosofare troppo per cadere nell’ozio (otium era il tempo degli uomini perso nelle cose trascendentali che non riguardavano la vita di tutti i giorni), quindi lo Sport non veniva visto come gli ellenici nella sua pura forma atletica. I latini erano molto pragmatici e se i greci astraevano i giochi ginnici, come le Olimpiadi, nell’essenza estetica del gesto atletico, gli antichi romani usavano la pratica sportiva come preparazione all’attività militare. Esempio fu il lancio del giavellotto (iacula, lanceae, pilum) praticato soprattutto in ampi spazi come il Campus Martius vicino al Tevere. In campo militare il giavellotto era essenziale per le retrovie dei fanti e veniva lanciato con destrezza contro i barbari prima di sferrare l’attacco con le spade. Sempre il giavellotto veniva usato nella caccia grossa a cinghiali e selvaggina (venatio). A volte veniva usato pure nella pesca a mo’ di fiocina: si pescava per diletto e per professione come noi oggi.

Vincenzo Benincasa, minorenne, in una competizione nazionale di Atletica Leggera (Lancio del Giavellotto).

Nel Campo Marzio (poteva contenere fino a 200.000 spettatori), che era il luogo della propaganda politica dei senatori (ambitiones), si praticava il gioco della palla con varianti antesignane della nostra pallacanestro, pallavolo, rugby, baseball, ecc. (pila, paganica, trigon, arenaria, harpastum, follis), il lancio del disco (disci iactus), la lotta (lucta), la corsa podistica, il salto e la corsa coi carri (aurigationes). I romani solevano trascorrere il pomeriggio a mirare l’addestramento della gioventù, soprattutto quando non avevano più di che dirsi all’ombra delle colonne e dei porticati delle loro sontuose ville. A volte, giocavano come i bimbi a pari e dispari (ludere par impar), a testa e croce con una moneta (capita et navia), a morra (digitorum ludus), ai dadi (alea), al gioco dell’oca (ludus duodecim scriptorum), alla dama e agli scacchi (ludus calculorum e latrunculorum, in cui i latruncoli erano le pedine visti come soldati mercenari). E nelle tabernae, dopo aver mangiato e bevuto, scommettevano tra di loro, scommettevano sul vincitore come facciamo noi oggi.
E scommettevano soprattutto quando venivano indetti gli spettacoli e i giochi pubblici in Anfiteatri come il Colosseo (Anfiteatro Flavio, costruito dall’Imperatore Vespasiano nel I sec. D.C.) e in Circhi come il Circo Massimo. Qui, si praticava il vero sport di massa dei romani, come per noi è il calcio. L’attrattiva più feroce erano i ludi gladiatorii e venatorii (lotta con le belve come tigri, leoni, pantere, tori, rinoceronti, ecc.). Sono stati girati molti film sull’argomento e tutti noi sappiamo come era crudele la vita dei gladiatori che dovevano combattere fino alla morte (schiavi, prigionieri di guerra opportunamente addestrati da un istruttore per essere scannati sotto l’occhio dell’Imperatore e del popolo romano). Se i romani sventolavano i loro fazzoletti gridando “Mitte!”, l’Imperatore doveva salvare il gladiatore (missus), altrimenti al grido di “Iugula!”, cioè “Scannalo!”, mostrando tutti il pollice all’ingiù, il poveretto doveva essere finito nell’arena.
Col detto di “pane e circensi” è passata alla storia la politica degli Imperatori di Roma che col pane e i giochi circensi (indetti tutto l’anno al pari delle ferie religiose) distraeva le masse sempre crescenti dai veri e quotidiani mali della vita dell’epoca.

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ARTISTA VINCENZO BENINCASA VB...

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